La forza del bello. Una prospettiva estetica nella cura

Bernegger, Guenda and Musalek, Michael (2014) La forza del bello. Una prospettiva estetica nella cura. L’Arco di Giano. Rivista di Medical Humanities, 91. pp. 90-100.

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Abstract

Il bello suscita attrazione e genera forza. Tale attrazione è un principio fondamentale della natura, che si lascia definire come «volontà di bellezza». Se ciò che viene riconosciuto come bello varia da soggetto a soggetto, generalmente valida è invece l'identificazione del bello con ciò che suscita adesione, consenso, con ciò che piace, che è piacevole. L'esperienza del bello è esperienza di gioia e di allargamento del sé. E sentirsi bene e vivere gioiosamente vuole al contempo dire salute, secondo la definizione che l'OMS ne dà, riferendola a uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. Sulla base di tali premesse, gli autori riflettono sulle implicazioni di una prospettiva estetica nella pratica di cura. Nell'ambito della terapia, il bello si rivela essere doppiamente efficace: orienta la finalità della terapia nel senso della (ri)costruzione di una bella forma di vita, che favorisca la gioia (in quanto allargamento del proprio spazio esistenziale e accrescimento della potenza di agire) e in tal modo promuova una condizione di salute; inoltre, funge da sorgente di energia, capace di mettere in moto, di muovere. In quanto tale, il bello è una risorsa fondamentale per il processo terapeutico. Tra i compiti del professionista sanitario attento alle componenti estetiche che, volenti o nolenti, condizionano lo spazio e le dinamiche della cura, non vi è solo quello di trovare e offrire al paziente un obiettivo e un percorso terapeutico attrattivi, bensì anche quello di creare, al contempo, le condizioni affinché tale via e tale scopo possano essere perseguiti e apparire come raggiungibili al singolo individuo. Oltre che dall'attrattività (o meno) e dalla bellezza (o meno) del percorso e dell'obiettivo terapeutico, la motivazione e la compliance del paziente sono infatti condizionate dal fatto che egli possa (o meno) riconoscere la meta in quanto accessibile per sé, che consideri cioè possibile raggiungerla, e che possa accedere all'esperienza del bello, in quanto bello possibile per sé. Le difficoltà che si pongono¬ – in modo particolare nella condizione di sofferenza e, spesso, nei percorsi terapeutici – rispetto alla possibilità di vivere il bello, non devono scoraggiare: confermano invece che proprio in tal luogo e in tale senso è importante lavorare, e che per questo occorre coltivare, come curanti, un'attenzione estetica, nonché dialogare con l'arte, capace di suggerire delle vie per allargare i possibili più propri. Ripossibilizzare l'esperienza del bello – che è al contempo esperienza di gioia, di dilatazione del sé, di benessere, e dunque salute – è allora una delle responsabilità e delle opportunità di ogni terapeuta.

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