Articolo. Biennale di Venezia 2001: nella Platea dell’Umanità anche l’Africa ha un posto in prima fila

Inserito da iopensa il Sab, 2001-09-01 12:00

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Versione originale di Arte/Biennale di Venezia. L’Africa c’è, l’Africa non c’è in “Nigrizia”, anno 119, n. 9, settembre 2001, p. 57.

La quarantanovesima Biennale di Venezia ha un titolo, non un tema. La Platea dell’Umanità accoglie i padiglioni nazionali, l’esposizione internazionale, le mostre a latere, teatro, danza, musica e poesia. Essere presenti è l’obiettivo di artisti e critici perché, nonostante il gran numero di biennali in giro per il mondo, Venezia rappresenta un traguardo e un’ottima rampa di lancio.


I padiglioni nazionali espongono opere selezionate dai propri curatori. Ci sono gli Stati che hanno il loro padiglione fin dalle prime edizioni della Biennale, quelli che hanno costruito il loro edificio insieme ad altri paesi e quelli che – essendo finito lo spazio all’interno dei Giardini di Castello – occupano altri palazzi di Venezia e Treviso.

Il numero delle nazioni rappresentate è impressionante, mancano però quasi tutti gli stati africani. Unica eccezione è infatti l’Egitto che possiede il suo padiglione all’interno dei Giardini e che quest’anno presenta un progetto del settantacinquenne Ramzy Mostafa. Peccato che Ahmed Fouad Selim (curatore della Biennale del Cario e della galleria Akhnaton) non abbia scelto un artista più interessante tra i tanti che con vivacità lavorano nel suo paese (nella biografia proposta dal sito della XXIII Biennale di San Paolo del 1996, alla quale Ramzy Mostafa ha partecipato, appare che l’artista era già presente alle Biennali di Venezia nel 1966, 1972, 1980, 1984, 1986 e ancora nel 1988).

Authentic/Ex-Centric: Africa In and Out of Africa

Authentic/Ex-Centric: Africa In and Out of Africa è un’esposizione a latere (ovvero un’esposizione affiancata al programma della Biennale) curata da Salah Hassan e Olu Oguibe. Il “Forum for African Arts” è l’organizzazione senza scopo di lucro che coordina la selezione degli artisti e la ricerca dei finanziamenti, promuovendo l’arte contemporanea africana e la sua partecipazione alle grandi mostre internazionali. Il punto di partenza è infatti la necessità di rendere visibile il lavoro degli artisti africani non sostenuti dai loro governi e trascurati dai grandi eventi artistici; il problema è che un’associazione non potrà mai rappresentare un intero continente (compresi gli artisti della diaspora) e ovviamente, per quanto si voglia combattere l’esclusione, il risultato è che ci saranno sempre degli esclusi. Authentic/Ex-Centric ha però diversi meriti: è ben organizzata, ha un bel catalogo-libro, ha una sede elegante e mostra alcune opere molto interessanti.

Berni Searle (nata in Sudafrica nel 1964) appare nel video Snow White (Biancaneve) nuda, inginocchiata nella penombra. Dall’alto piove della farina e poi dell’acqua. Con movimenti lenti e rituali l’artista comincia a mescolare i due ingredienti sul pavimento. Allarga le braccia tracciando sul suolo dei cerchi, fino a creare un impasto che poi spezza in brandelli. Lo stesso video è proiettato con qualche secondo di ritardo sulla parete di fronte: le immagini e i suoni circondano lo spettatore, creando un ritmo avvolgente.

Yinka Shonibare (nato in Gran Bretagna nel 1962) colloca una famiglia di astronauti su un piano rialzato. Le tute spaziali sono realizzate in cotone stampato a cera: la stoffa dei batik colorati, tanto utilizzati negli abiti africani (l’opera ha vinto una “menzione” della giuria della Biennale).

Zineb Sedira (nata in Francia nel 1963) ricopre una stanza di piastrelle. Da lontano sembrano dei tradizionali disegni geometrici, ma ad uno sguardo più attento appaiono i visi di quattro generazioni di donne e dei testi in arabo. In una piccola stanza separata, un video mostra un foglietto con la scritta in arabo “non fare a lei quello che hai fatto a me” in un bicchiere d’acqua: l’inchiostro si scioglie creando dei morbidi disegni.

Godfried Donkor (Ghana 1964) racconta l’epoca vittoriana con tre stampe nelle quali i protagonisti sono muscolosi pugili di colore;

Rachid Koraïchi (Algeria 1947) ricrea il viaggio spirituale di un mistico sufi attraverso oggetti decorati con la calligrafia araba e sculture in acciaio;

Maria Magdalena Campos-Pons (Cuba 1959) riempie il pavimento di una stanza con ferri da stiro ed espone alla pareti immagini della sua famiglia;

Willem Boshoff (Sudafrica 1951) pone un sasso sopra un piedistallo di granito con la scritta in diverse lingue “Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra?” tratta dal Vangelo di Matteo.

Difficile indicare la nazionalità di questi artisti “africani”. Come tantissimi colleghi di tutto il mondo hanno studiato, viaggiano e vivono in diversi paesi: sono piuttosto le loro opere a parlare dell’Africa, il continente che ha influenzato la storia delle loro vite. L’autenticità africana appare quindi nelle riflessioni e nei riferimenti (l’aspetto concettuale commentato nel catalogo), senza che siano le tecniche usate, le nazionalità o la residenza a classificarli come africani.

Padiglione Italia e Arsenale

All’interno del Padiglione Italia e dell’Arsenale ha sede l’esposizione internazionale (gli artisti italiani sono presenti in questa mostra ed hanno un loro spazio nel Padiglione Venezia). Il curatore Harald Szeemann ha selezionato opere e progetti per creare una grande diversità di stili, di punti di vista e di riflessioni. In questa “dimensione” – come ama definirla il curatore – di Platea dell’Umanità le opere non hanno un solo tema, non hanno uno stile in comune, né un mezzo espressivo unico. Gli artisti provengono da formazioni diverse, da vari continenti e sono giovani e meno giovani. L’unico collante è invece, secondo Szeemann, l’intensità delle opere e la centralità dell’uomo. Parlare di “artisti africani” è quindi completamente in contrasto con il senso dell’esposizione, ma se proprio servono statistiche per difendere le nazionalità marginalizzate – come Olu Oguibe ed altri critici amano definirle – allora si può osservare che gli africani sono stati invitati: merito dell’insistenza del “Forum of African Arts” che ha incoraggiato la loro presenza alla Biennale o merito di questi artisti che non hanno bisogno del sostegno del “Forum of African Arts”.

I lavori più interessanti sono quelli di due sudafricane: Minnette Vari (1968) e Tracey Rose (1974), entrambe protagoniste dei loro video (esposti nelle Corderie). La prima appare nuda in tre opere, sospesa in uno spazio irreale; divora avidamente brandelli di filmati televisivi in Oracle, convive con i suoi sogni nel video REM e il suo corpo sembra liquefarsi fino a formare degli stemmi in Mirage. Tracey Rose interpreta in Ciao Bella diverse figure grottesche che convivono senza interagire sullo stesso palcoscenico, quasi fossero le maschere femminili di una sola persona.

49. Esposizione Internazionale d’Arte. Platea dell’Umanità.
Giardini di Castello e Arsenale (Corderie, Artiglierie, Isolotto, Tese delle Vergini, Giardino delle Vergini, Gaggiandre). Tel. 041.521.88.61. Aperta fino al 4 novembre 2001. http://www.labiennale.org

Authentic/Ex-Centric: Africa In and Out of Africa. Fondazione Levi, San Marco 2893. Fermata: San Samuele. Tel. 041.271.14.11. Aperta fino al 30 settembre 2001.