Articolo. Arte contemporanea al Cairo tra spazi espositivi pubblici, privati e artisti

Inserito da iopensa il Mar, 2003-07-01 12:00

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Il Cairo cresce e cambia senza pause né organizzazione. Un cantiere aperto che sovrappone il nuovo al vecchio, restaurando poco e allargando a dismisura i confini della città. E l’arte fa lo stesso.

Piramidi ovunque, più delle gondole a Venezia. Al Cairo i simboli dell’antico Egitto invadono la città, da Giza (dove appunto ci sono le piramidi) ad Heliopolis (dove invece ci sono i centri commerciali a forma di piramide), passando attraverso la fantasiosa produzione di souvenir. Ma il gusto per le piramidi non manca nemmeno nell’arte contemporanea: nel vasto panorama internazionale della Biennale del Cairo spuntano con regolarità anche manciate di artisti “neo-faraonici”, presenza curiosa, considerato che la maggioranza dei giovani artisti egiziani ha smesso di produrre piramidi da migliaia di anni… La strana situazione è causata dal sistema statale egiziano.

La Biennale del Cairo – così come la maggior parte degli spazi pubblici della città e così come il padiglione d’Egitto alla Biennale di Venezia – sono infatti nelle mani dell’onnipresente Ahmed Fouad Selim e di alcuni artisti nati intorno agli anni Trenta che tutt’oggi producono quadri astratti o calligrafici (compreso il Ministro della Cultura Farouk Hosni); grazie al potere di queste presenze l’attenzione per i giovani e più coraggiosi artisti egiziani scricchiola vistosamente, a vantaggio della promozione di un arte più classica e decisamente meno contemporanea.

Negli ultimi anni però, all’interno di questa mummificata struttura, si sta insinuando il tarlo del cambiamento, ormai inevitabile: sono aumentate le gallerie private, è nato il festival Al Nitaq, gli artisti viaggiano sempre di più facendosi conoscere all’estero senza il sostegno statale e anche gli spazi pubblici del Cairo hanno timidamente introdotto i giovani dell’arte nel loro programma espositivo, come ha fatto il Gezira Art Center grazie alla direzione dell’intraprendente Tharuat El Bahr.

Esattamente come succede nei nuovi centri commerciali della periferia della città – dove colonnati si uniscono a luci al neon, geroglifici a scale mobili – così anche nell’arte contemporanea le vecchie leve convivono con le nuove. Townhouse, Mashrabia ed Espace Karim sono gli spazi espositivi privati più attivi della città, capaci di unire le forze per creare il festival Al Nitaq che coinvolge un intero quartiere. Al Nitaq significa infatti “il quartiere” ed è il titolo sotto il quale esposizioni, concerti, danza e lettura di poesia trasformano tutta l’area intorno a Talaat Harb, una zona di artigiani e piccoli negozi, vivace ma decadente, dove hanno sede la maggior parte delle gallerie private ed i centri culturali della città; la concentrazione è sulle arti visive, sulle opere create esplicitamente per l’occasione e sugli artisti egiziani, soprattutto quelli giovani. Tra le altre istituzioni che lavorano in modo indipendente per promuovere l’arte in Egitto si possono poi ricordare la Gudran Association for Arts and Development http://www.gudran.com/ (che incoraggia le popolazioni rurali a produrre opere di artigianato e a decorare il loro villaggio insegnando tecniche artistiche), l’American Univeristy che ha da poco aperto anche una sua galleria, la rivista culturale Medina e due interessanti progetti on-line: Cairo Art Index http://www.cairoartindex.org/ e Egypt Art Link http://egyptartlink.com.

I più giovani artisti contemporanei egiziani puntano il dito sulle contraddizioni del Cairo: raccontano le sue forme, i suoi abitanti e le sue debolezze; usano un linguaggio vivace e si lasciano contaminare da mille influssi, esattamente gli stessi che bombardano ininterrottamente la capitale dell’Egitto. Il Cairo è infatti un immenso agglomerato di stili architettonici, di nazionalità, di religioni, di cemento, di Occidente, Africa e Oriente. Ha librerie moderne, design, supermercati, ristoranti giapponesi e locali notturni alla moda; e allo stesso tempo ha miseria, profughi, censura e scarafaggi. Questi paesaggi così contraddittori si incastrano nei pensieri degli artisti che, con tecniche e stili diversi, fanno del Cairo lo sfondo ed il protagonista delle loro opere.

Wael Shawky in Il Mulid del Santo Asfalto riempie una stanza di cemento e proietta su una parete un video che riprende dei fedeli che ballano durante un mulid (la celebrazione in onore dei santi), senza però la musica tradizionale che serve per raggiungere la concentrazione mistica, ma con la musica hip-pop dei Cypress Hill, che crea l’atmosfera di una discoteca di New York.

Mona Marzouk costruisce sculture e dipinti combinando elementi architettonici: nelle sue opere inventa edifici dai colori uniformi ed asettici, composti da un capitello che si unisce ad una piramide che si appoggia ad un minareto… Un mondo minimalista ed irreale che fa andare d’amore e d’accordo elementi musulmani, colonialisti, tradizionali e moderni.

In 100 visi, 6 posti e 25 domande (una serie di video proiettati contemporaneamente) Hassan Khan cerca di scoprire i pensieri della gente nei luoghi dove la gente sogna: allo stadio, in una moschea, dal rivenditore d’auto… Su uno schermo scorrono le “immagini metodologiche”, come ama chiamarle l’artista: palazzi grigi degli anni Sessanta ed i nuovi quartieri popolari, accostati a frasi che narrano la storia della rapida metamorfosi della città, che cresce in modo incontrollabile. Delle cuffie pongono poi domande ai visitatori: domande semplici “sai muoverti per la città?” e domande fastidiose “sai come controllare la gente?”. La risposta, pronunciata nel microfono, ritorna nelle cuffie ed è solo lo stesso visitatore che può ascoltarla.

Sandouk El Dounia (ovvero La Scatola del Mondo) è la città ritratta da Lara Baladi, popolata da personaggi cyber dai capelli arcobaleno e dall’abbigliamento sfavillante. Le eroine sono fotografate in vecchi palazzi del Cario e le immagini formato cartolina sono poi unite in un collage maniacale: così un edificio reale abbandonato e decadente diventa teatro per uno spettatolo di avventura futuristica e pacchiana.

Moataz Nasr allestisce spazi magici, distorcendo la realtà, riflettendo sull’indifferenza e ripetendo in modo ossessivo semplici ingredienti del paesaggio egiziano: facce, luce, terra, pane ed oggetti quotidiani. Un orecchio di fango e l’altro di pasta è l’installazione di Nasr che ha vinto la Biennale del Cairo del 2001, composta da un video ed una parete ricoperta da sculture a forma di orecchie; il filmato è una sfilata di gente che alza le spalle sorridente e rassegnata: “chi se ne importa” – sembra dire, esattamente come recita il proverbio egiziano che dà il titolo all’opera.

L’albero della vecchia casa di mia nonna di Shady El Noshokaty parla della vita che convive con la morte attraverso una scultura fatta di mattoni di cera ricoperti da grasso e capelli; la cera ha il colore dalla carne, i capelli sono quelli della gente, il grasso fa parte del corpo e i mattoni sono marchiati come quando prodotti dalle industrie, ma su questi c’è scritto Misr, ovvero Egitto. Questo muro è infatti la copia delle tombe costruite dagli egiziani sopra i cadaveri sepolti (un rito tipico della città di Damietta, alla foce del Nilo, luogo di origine dell’artista): il corpo del defunto viene infatti protetto da una piccola casa di sassi e su questa viene messa della terra perché le piante possano crescere. Insieme alla scultura sono esposte le fotografie di una vecchia casa che si prepara per essere smantellata dopo il funerale e un video con le parole dei familiari che parlano con i loro defunti.

Samy Elias crea spazi della memoria, dove il tempo si ferma e l’ordine è stravolto. Susan Hefuna mostra il Cairo e la campagna in grandi fotografie senza tempo, tra passato e presente, e Khaled Hafez – ossessivo collezionista di immagini – ricompone in pale d’altare e trittici modelle e star del cinema innalzati al ruolo di angeli e di arredo liturgico.

Amina Mansour compone nostalgici fiori di cotone che raccontano la vita aristocratica e il passato di due paesi dei quali è parte: gli Stati Uniti e l’Egitto.

Sabah Naim – giovane artista velata – arrotola con delicatezza giornali per creare piccoli bouquet, riducendo a semplici decorazioni silenziose il flusso di notizie.

L’Egitto ha artisti, gallerie pubbliche e private, musei, scuole d’arte, critici, il Festival annuale Al Nitaq, la Triennale di Ceramica e quella di Grafica, la Biennale del Cairo e di Alessandria: un buon motivo quindi per non visitare soltanto le piramidi.

Versione originale di Arte contemporanea al Cairo tra spazi espositivi pubblici, privati e artisti in “Africa e Mediterraneo”, n. 43-44, luglio 2003, pp. 71-73.