Articolo. Arte contemporanea al Cairo

Inserito da iopensa il Mar, 2002-01-01 12:00

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Versione originale di Il Cairo, tra antico e contemporaneo in “Tema Celeste”, gennaio/febbraio 2002, n. 88/89 pp. 116-117.

Il Cairo cresce e cambia senza pause né organizzazione. Un cantiere aperto che sovrappone il nuovo al vecchio, restaurando poco e allargando a dismisura i confini della città: l’arte fa lo stesso.


Piramidi ovunque, più delle gondole a Venezia. Al Cairo i simboli dell’antico Egitto invadono la città, da Giza (dove appunto ci sono le piramidi) ad Heliopolis (dove invece ci sono i centri commerciali a forma di piramide), passando attraverso la fantasiosa produzione di souvenir. Ma il gusto per le piramidi non manca nemmeno nell’arte contemporanea: alla Biennale del Cairo – che impone con regolarità una manciata di “artisti faraonici” – e nel Padiglione egiziano della Biennale di Venezia – che impone quest’anno per la settima volta Mostafa Ramzy.

Questa curiosa coincidenza (considerato che la maggioranza degli artisti egiziani ha smesso di produrre piramidi da migliaia di anni…) si deve all’onnipresente Ahmed Fouad Selim, curatore della Biennale del Cairo, commissario della Biennale di Venezia e direttore della galleria pubblica Akhnaton. In effetti in Egitto il sistema statale dell’arte è piuttosto semplice: è gestito dagli artisti nati intorno agli anni Trenta che tutt’oggi producono quadri astratti o calligrafici (compreso il Ministro della Cultura Farouk Hosni); evita di proposito l’ostentazione pubblicitaria (nessuna rassegna stampa, nessun collegamento a Internet… si preferisce inoltre non rispondere al telefono) ed è finalizzato alla promozione degli artisti già noti.

All’interno di questa mummificata struttura si sta però insinuando il tarlo del cambiamento, ormai inevitabile: negli ultimi anni sono infatti aumentati gli spazi privati, gli artisti viaggiano sempre di più facendosi conoscere all’estero senza l’aiuto dello Stato ed è nato un festival promosso dalle gallerie Mashrabia, Espace Karim e Townhouse. Il festival – che quest’anno ha inaugurato la sua seconda edizione in contemporanea con la Biennale del Cairo – si chiama “Al Nitaq”, ovvero il quartiere, per sottolineare il coinvolgimento di tutta l’area intorno a Talaat Harb, una zona di artigiani e piccoli negozi, vivace ma decadente, dove hanno sede la maggior parte delle gallerie private e dei centri culturali della città. La concentrazione è sulle arti visive, sulle opere create esplicitamente per l’occasione e sugli artisti egiziani, soprattutto giovani; non mancano però nemmeno le altre discipline artistiche e quest’anno è stato presentato anche il progetto di sviluppo della “Gudran Association for Arts and Development” http://www.gudran.com/ che utilizza l’arte per incoraggiare la popolazione di un piccolo villaggio rurale vicino ad Alessandria a produrre opere di artigianato e a decorare il loro villaggio.

Esattamente come succede nei nuovi centri commerciali della periferia del Cairo, dove colonnati si uniscono a luci al neon, geroglifici e scale mobili, così anche nell’arte contemporanea le vecchie leve convivono con le nuove e sono proprio questi giovani che nelle loro opere ritraggono tutte le contraddizioni del Cairo.

Mona Marzouk crea sculture e dipinti combinando elementi architettonici: nelle sue opere inventa edifici dai colori uniformi ed asettici, composti da un capitello che si unisce ad una piramide che si appoggia ad un minareto… Un mondo minimalista e irreale che fa andare d’amore e d’accordo elementi musulmani, colonialisti, tradizionali e moderni.

Wael Shawky in “Il Mulid del Santo Asfalto” riempie una stanza di cemento e proietta su una parete un video che riprende dei fedeli che ballano durante un mulid (la celebrazione in onore dei santi), senza la musica tradizionale che serve per raggiungere la concentrazione mistica, ma con la musica hip-pop dei Cypress Hill che crea l’atmosfera di un dancing club economico di New York o di un dancing club costoso del Cairo.

In “100 visi, 6 posti e 25 domande” (una serie di video proiettati contemporaneamente) Hassan Khan cerca di scoprire i pensieri della gente nei luoghi dove la gente sogna: allo stadio, in una moschea, dal rivenditore d’auto… Su uno schermo scorrono le “immagini metodologiche”, come ama chiamarle l’artista: palazzi grigi degli anni Sessanta e i nuovi quartieri popolari, accostati a frasi che narrano la storia della rapida metamorfosi della città, che cresce in modo incontrollabile. Delle cuffie pongono poi domande ai visitatori: domande semplici “sai muoverti per la città?” e domande fastidiose “sai come controllare la gente?”. La risposta, pronunciata nel microfono, ritorna nelle cuffie ed è solo lo stesso visitatore che può ascoltarla.

“Sandouk El Dounia” (“La Scatola del Mondo”) è la città creata da Lara Baladi, popolata da personaggi cyber dai capelli arcobaleno e dall’abbigliamento sfavillante. Le eroine sono fotografate in un vecchio palazzo e le immagini formato cartolina sono poi unite in un collage maniacale: un posto reale abbandonato e decadente diventa teatro per uno spettatolo di avventura futuristica e pacchiana.

Moataz Nasr allestisce spazi magici, invadendo pareti con orecchie di creta o fasci di luce, costruendo pavimenti che sembrano giardini di pietre.

Shady El Noshokaty racconta la convivenza dei vivi con la morte e Samy Elias crea spazi della memoria, dove il tempo si ferma e l’ordine è stravolto.

Susan Hefuna mostra il Cairo e la campagna in grandi fotografie senza tempo, tra passato e presente, e Khaled Hafez – ossessivo collezionista di immagini – ricompone in pale d’altare e trittici modelle e star del cinema innalzati al ruolo di angeli e di arredo liturgico.

Amina Mansour compone nostalgici fiori di cotone che raccontano la vita aristocratica e il passato di due mondi dei quali è parte: gli Stati Uniti e il Nord d’Africa.

Sabah Naim – giovane artista velata – arrotola con delicatezza giornali per creare piccoli bouquet, riducendo a semplici decorazioni silenziose il flusso di notizie.

In Egitto ci sono quindi artisti, gallerie pubbliche e private, musei, scuole d’arte, critici, il Festival annuale Al Nitaq, la Triennale di Ceramica e quella di Grafica, la Biennale del Cairo e di Alessandria: un buon motivo per non visitare soltanto le piramidi.